TRIBUNALE DI PALERMO 
                           Sezione Lavoro 
 
    Il Giudice Giuseppe Tango nella causa iscritta  al  n.  6994/2013
R.G., promossa ex artt. 442  e  ss.  c.p.c.  da  Cardinale  Giuseppe,
rappresentato e difeso dagli avv.ti Alessia Sciranna e  Concetta  Pia
Dell'Aquila ed elettivamente domiciliato presso lo  studio  dell'avv.
Nunzio Pinelli in Palermo, piazza Virgilio n. 4 - ricorrente; 
    Contro INPS, rappresentato e difeso dall'avv. Rosaria  Ciancimino
ed  elettivamente  domiciliato   presso   l'Avvocatura   distrettuale
dell'istituto in Palermo, via Laurana n. 59 - resistente; 
    Sciogliendo la riserva assunta all'udienza del 21 gennaio 2016; 
 
                               Osserva 
 
    Con ricorso depositato il 27 giugno 2013,  Cardinale  Giuseppe  -
previa  rimessione  degli  atti  del  presente  giudizio  alla  Corte
costituzionale  per   l'esame   della   questione   di   legittimita'
costituzionale del comma 25,  dell'art.  24  del  d.l.  n.  201/2011,
convertito con modificazioni in legge n. 214/2011, per contrasto  con
gli artt. 3, 36, comma 1, 38, comma 2, e 53  Cost.,  nonche'  con  il
combinato disposto degli artt. 3, 36 e 38. Cost. e con  il  combinato
disposto  degli  artt.  2,  23,  53  Cost.  -  Chiedeva   dichiararsi
l'illegittimita'  del  blocco  della  perequazione  automatica  delle
pensioni superiori a tre volte il  trattamento  minimo  Inps  per  il
biennio 2012/2013 e, per l'effetto, condannare  l'ente  previdenziale
convenuto  a   riliquidare   in   proprio   favore   il   trattamento
pensionistico perequato ex legge n. 448/1998, art. 34, comma 1  ed  a
corrispondergli  i  relativi  ratei  maturati  e  non  percepiti  e/o
percipiendi  nel  biennio  2012/2013,  maggiorati  di   interessi   e
rivalutazione monetaria come per legge sino all'effettivo soddisfo. 
    Ritualmente instauratosi il contraddittorio, resisteva l'Istituto
convenuto, chiedendo il  rigetto  del  ricorso,  del  quale  deduceva
variamente l'improponibilita' e infondatezza. 
    Sospeso il giudizio in seguito all'ordinanza - emessa  da  questo
Tribunale in data 6 novembre 2013 - di  rimessione  degli  atti  alla
Corte  costituzionale  affinche'  si  pronunciasse  in  ordine   alla
questione  di  legittimita'  costituzionale  avente  ad  oggetto   la
suddetta disposizione legislativa, la Consulta ha dichiarato  con  la
sentenza n. 70 del 2015  "l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.
24, comma 25, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni
urgenti per la crescita, l'equita'  e  il  consolidamento  dei  conti
pubblici), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della
legge 22 dicembre 2011, n. 214, nella parte in cui  prevede  che  «In
considerazione   della   contingente   situazione   finanziaria,   la
rivalutazione automatica dei trattamenti  pensionistici,  secondo  il
meccanismo stabilito dall'art. 34, comma 1, della legge  23  dicembre
1998,  n.  448,  e'  riconosciuta,  per  gli  anni   2012   e   2013,
esclusivamente ai trattamenti pensionistici  di  importo  complessivo
fino a tre volte il trattamento minimo INPS, nella misura del 100 per
cento»". 
    Riassunto il giudizio, parte ricorrente, reiterando le  richieste
gia' formulate nel ricorso introduttivo del giudizio, rinnovava,  per
le ragioni di cui infra, l'eccezione di incostituzionalita' del comma
25, dell'art. 24, del d.l. n. 201/2011, convertito con  modificazioni
in legge  n.  214/2011,  cosi'  come  modificato  dal  D.L.  65/2015,
convertito  nella  legge  n.  109/2015,  emesso  in  seguito  ed   in
conseguenza della sentenza della Corte costituzionale di cui sopra. 
    L'eccezione   d'incostituzionalita'   sollevata    dalla    parte
ricorrente appare rilevante e non manifestamente infondata. 
    Preliminarmente giova ricordare che nella scelta  del  meccanismo
perequativo  da  utilizzare,  il  legislatore  gode  di   una   certa
discrezionalita', atteso che il combinato disposto dell'art. 36 e  38
Cost. impone il raggiungimento del fine (l'adeguamento delle pensioni
all'incremento del costo della vita), senza  impone  una  particolare
modalita' attuativa del principio  indicato.  Tuttavia,  sebbene  non
esista un principio costituzionale che possa garantire  l'adeguamento
costante  delle  pensioni   al   successivo   trattamento   economico
dell'attivita' di servizio corrispondente, il legislatore e tenuto ad
individuare meccanismi che assicurino la perdurante adeguatezza delle
pensioni  all'incremento  del  costo   della   vita.   Infatti,   per
scongiurare il verificarsi di "un non sopportabile  scostamento"  fra
l'andamento delle pensioni e delle retribuzioni, il  legislatore  non
puo' eludere il limite della ragionevolezza  (Corte  Cost.  7  maggio
1993,  n.  226)  ed,  in  ogni  caso,  deve  ispirarsi  ai   principi
costituzionali di cui agli artt.  36,  primo  comma,  e  38,  secondo
comma, Cost. (cosi' come ribadito  dalla  menzionata  sentenza  della
Consulta n. 70 del 2015). Anzi, "il rispetto dei parametri citati  si
fa tanto piu' pressante per il legislatore, quanto piu' si allunga la
speranza di  vita  e  con  essa  l'aspettativa,  diffusa  fra  quanti
beneficiano di trattamenti  pensionistici,  a  condurre  un'esistenza
libera e dignitosa, secondo il dettato  dell'art.  36  Cost."  (Corte
Cost. 30 aprile 2015, n. 70). 
    Tale principio ha portato piu' volte la  Corte  costituzionale  a
dichiarare  l'illegittimita'  di  disposizioni  che  non  contenevano
alcuna previsione volta ad assicurare nel tempo la conservazione  del
valore delle prestazioni da loro erogate.  Esemplificativamente  puo'
essere  ricordata  la  vicenda  relativa   alla   rivalutazione   dei
contributi  versati  ai  fini  dell'assicurazione   facoltativa   per
l'invalidita', la vecchiaia ed i superstiti, in relazione alla  quale
non era previsto alcun  criterio  di  adeguamento  del  valore  della
contribuzione versata dal 1° gennaio 1948 in poi  all'incremento  del
costo della vita. In tale ipotesi venne  dichiarata  l'illegittimita'
della disposizione in quanto l'omessa previsione di  tale  meccanismo
rendeva ineffettiva la norma stessa (cfr. Corte Cost. 21 marzo  1989,
n. 141). Ancora piu' significativo e' quanto deciso dal Giudice delle
leggi  a  proposito  della  disciplina  relativa  all'indennita'   di
disoccupazione ordinaria. A tale proposito la Corte ha osservato come
"la norma impugnata mira a dare  attuazione  all'art.  38  Cost.,  il
quale  riconosce  ai  lavoratori  il  diritto  sociale  a  che  siano
preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita  in
caso di disoccupazione involontaria" (ma il principio  non  muta  nel
della tutela  della  vecchiaia).  La  protezione  cosi  garantita  ai
lavoratori postula requisiti di effettivita', tanto piu' che essa  si
collega alla tutela dei diritti fondamentali  della  persona  sancita
dall'art. 2 Cost. Ora, non puo' ritenersi rispondente  ai  richiamati
principi costituzionali una nonna che, come quella impugnata,  mentre
fa  consistere  nella  corresponsione  di   una   somma   di   danaro
(indennita') quell'apprestamento di mezzi adeguati alle  esigenze  di
vita che e il contenuto della protezione costituzionale in argomento,
non  stabilisca,  di  fronte  al  fenomeno  in  atto  della  notevole
diminuzione del  potere  di  acquisto  della  moneta,  un  meccanismo
diretto ad assicurare anche in  prospettiva  temporale  l'adeguatezza
nei sensi suindicati dell'indennita'" (cfr.  Corte  Cost.  27  aprile
1988,  n.  497).  Ancora  e'  stato  sostenuto  che  "il   perdurante
necessario rispetto dei principi  di  sufficienza  e  di  adeguatezza
delle pensioni impone al  legislatore,  pur  nell'esercizio  del  suo
potere discrezionale  di  bilanciamento  tra  le  varie  esigenze  di
politica economica e le disponibilita' finanziarie, di individuare un
meccanismo in grado di assicurare un reale ed  effettivo  adeguamento
dei trattamenti di quiescenza alle variazioni del  costo  della  vita
(...)  Con  la  conseguenza  che  il  verificarsi  di   irragionevoli
scostamenti  dell'entita'  delle  pensioni  rispetto  alle  effettive
variazioni del potere di acquisto  della  moneta  sarebbe  indicativo
della inidoneita' del meccanismo in concreto prescelto ad  assicurare
al lavoratore e alla sua famiglia mezzi  adeguati  ad  una  esistenza
libera e dignitosa nel rispetto dei principi e  dei  diritti  sanciti
dagli articoli 36 e 38  della  Costituzione"  (cfr.  Corte  Cost.  23
gennaio 2004, n. 30). 
    Tale  meccanismo  e'  stato   individuato   nel   sistema   della
perequazione automatica delle pensioni,  introdotto  con  l'art.  18,
della legge n. 153/1969. 
    Nonostante il  pronunciamento  in  ultimo  indicato  della  Corte
Costituzionale, il legislatore (successivamente all'entrata in vigore
degli artt. 16 l. n. 843/1978, 2  d.l.  n.  348/1992,  convertito  in
legge n. 438/1992 e 59,  comma  13,  legge  n.  449/1997,  che  hanno
previsto la sospensione del meccanismo  rivalutativo  rispettivamente
per gli anni 1979, 1993 e 1998) con la legge 24 dicembre 2007 n.  247
ha  nuovamente  imposto  un  ulteriore  blocco   della   perequazione
automatica,  questa  volta   per   l'anno   2008,   dei   trattamenti
pensionistici eccedenti otto  volte  il  trattamento  minimo  INPS  e
precisamente quelli di importo superiore a € 3542,88. 
    La  Corte,  con  sentenza  n.  316  del  3  novembre  2010,   pur
dichiarando  la  norma   costituzionale,   in   quanto   la   mancata
perequazione per un solo anno sulle pensioni di importo piu'  elevato
non incide  sull'adeguatezza  delle  stesse,  ha  avvertito  che  "la
frequente reiterazione di misure intese a" paralizzare il  meccanismo
perequativo "esporebbe  il  sistema  ad  evidenti  tensioni  con  gli
invalicabili principi di ragionevolezza e  proporzionalita',  perche'
le pensioni, sia pure di maggiore consistenza, potrebbero non  essere
sufficientemente difese in  relazione  ai  mutamenti  del  potere  di
acquisto della moneta". 
    La Consulta, quindi, ha ritenuto  il  blocco  della  perequazione
automatica sulle pensioni di rilevante importo  conforme  ai  dettami
della  Corte  purche'  non  divenga   un   meccanismo   costantemente
reiterato. 
    In altre parole,  se  e  vero  che  la  Corte  costituzionale  ha
affermato  che  l'intervento  sporadico  del  legislatore  rivolto  a
contenere o sopprimere per un  breve  periodo  la  rivalutazione  dei
trattamenti pensionistici medio/alti non viola  i  predetti  principi
costituzionali, e altrettanto vero che tali affermazioni  sono  state
bilanciate dalla considerazione che, al contrario, non e'  consentita
la reiterazione di misure paralizzare il meccanismo perequativo. 
    Tuttavia il legislatore con il comma 25, dell'art. 24,  del  d.l.
n. 201/2011, convertito con modificazioni in legge  n.  214/2011,  ha
introdotto  una  nuova  disciplina  della  rivalutazione   automatica
precedentemente in vigore. Stabiliva  la  norma:  «in  considerazione
della contingente situazione finanziaria, la rivalutazione automatica
dei  trattamenti  pensionistici,  secondo  il  meccanismo   stabilito
dall'art. 34, comma 1, della legge  23  dicembre  1998,  n.  448,  e'
riconosciuta, per gli anni 2012 e 2013, esclusivamente ai trattamenti
pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il  trattamento
minimo INPS, nella misura del 100  per  cento.  Per  le  pensioni  di
importo superiore a tre volte il trattamento minimo INPS e  inferiore
a tale limite, incrementato della quota di  rivalutazione  automatica
spettante ai sensi del presente comma, l'aumento di  rivalutazione  e
comunque  attribuito  fino  a   concorrenza   del   predetto   limite
maggiorato. Il comma 3, dell'art.  18,  del  decreto-legge  6  luglio
2011, n. 98, convertito, con modificazioni,  dalla  legge  15  luglio
2011,  n.  111,  e  successive  modificazioni  e   integrazioni,   e'
abrogato». 
    Con tale disposizione, quindi, non solo per le  pensioni  elevate
ma anche per quelle di importo lordo superiore a  1405  euro  mensili
(id est a 1217,00 euro mensili netti)  era  stata  abolita  qualsiasi
forma di perequazione e cio' non piu' solo  per  un  anno  (come  era
avvenuto per i "blocchi" rivalutativi precedenti)  ma  per  due  anni
consecutivi (2012 e 2013). 
    Come sopra accennato, la  suddetta  disposizione,  sottoposta  al
vaglio  della  Consulta,   e'   stata   ritenuta   costituzionalmente
illegittima nella parte in cui prevedeva che «In considerazione della
contingente situazione finanziaria, la rivalutazione  automatica  dei
trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito  dall'art.
34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448,  e'  riconosciuta,
per gli anni 2012 e 2013, esclusivamente ai trattamenti pensionistici
di importo complessivo fino a tre volte il trattamento  minimo  INPS,
nella misura del 100 per cento» (Corte Cost. 30 aprile 2015, n. 70). 
    In particolare, la Corte  costituzionale  ha  precisato  che  "La
censura relativa al comma 25, dell'art. 24, del d.l. n. 201 del 2011,
se vagliata sotto i profili della proporzionalita' e adeguatezza  del
trattamento pensionistico, induce a ritenere che siano stati valicati
i  limiti  di  ragionevolezza  e  proporzionalita',  con  conseguente
pregiudizio per il potere di acquisto del trattamento  stesso  e  con
«irrimediabile vanificazione delle aspettative legittimamente nutrite
dal lavoratore per il tempo successivo alla cessazione della  propria
attivita'» - (sentenza n. 349 del 1985). 
    Non  e'  stato  dunque  ascoltato  il   monito   indirizzato   al
legislatore con la sentenza n. 316 del 2010. 
    Si  profila  con  chiarezza,  a   questo   riguardo,   il   nesso
inscindibile che lega il dettato degli artt. 36, primo comma,  e  38,
secondo comma, Cost. (fra le piu' recenti, sentenza n. 208 del  2014,
che richiama la sentenza n. 441 del 1993). Su questo terreno si  deve
esercitare il legislatore nel  proporre  un  corretto  bilanciamento,
ogniqualvolta si profili l'esigenza di un  risparmio  di  spesa,  nel
rispetto di un ineludibile vincolo di scopo «al fine di  evitare  che
esso possa pervenire a valori critici, tali  che  potrebbero  rendere
inevitabile l'intervento correttivo della Corte» (sentenza n. 226 del
1993). 
    La  disposizione   concernente   l'azzeramento   del   meccanismo
perequativo, contenuta nel comma 24, dell'art. 25, del d.l.  201  del
2011, come  convertito,  si  limita  a  richiamare  genericamente  la
«contingente situazione finanziaria», senza che  emerga  dal  disegno
complessivo la necessaria prevalenza delle esigenze  finanziarie  sui
diritti oggetto di bilanciamento, nei  cui  confronti  si  effettuano
interventi cosi' fortemente incisivi. Anche in  sede  di  conversione
(legge 22 dicembre 2011, n. 214),  non  e'  dato  riscontrare  alcuna
documentazione  tecnica  circa  le  attese  maggiori  entrate,   come
previsto dall'art. 17, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196,
recante «Legge di contabilita' e finanza pubblica»  (sentenza  n.  26
del 2013, che interpreta il citato art.  17  quale  «puntualizzazione
tecnica» dell'art. 81 Cost.). 
    L'interesse dei pensionati, in particolar modo di quelli titolari
trattamenti previdenziali modesti, e'  teso  alla  conservazione  del
potere di acquisto delle somme  percepite,  da  cui  deriva  in  modo
consequenziale il diritto a una prestazione previdenziale adeguata. 
    Tale     diritto,     costituzionalmente     fondato,     risulta
irragionevolmente sacrificato nel nome di  esigenze  finanziarie  non
illustrate in  dettaglio.  Risultano,  dunque,  intaccati  i  diritti
fondamentali  connessi  al   rapporto   previdenziale,   fondati   su
inequivocabili  parametri  costituzionali:  la  proporzionalita'  del
trattamento di quiescenza, inteso quale retribuzione differita  (art.
36, primo comma, Cost.) e  l'adeguatezza  (art.  38,  secondo  comma,
Cost.). 
    Quest'ultimo e da intendersi quale espressione  certa,  anche  se
non esplicita, del principio di solidarieta' di cui all'art. 2  Cost.
e al contempo attuazione del principio di eguaglianza sostanziale  di
cui all'art. 3, secondo comma, Cost. 
    La norma censurata e,  pertanto,  costituzionalmente  illegittima
nei termini esposti. 
    Sennonche', nelle more del presente giudizio e successivamente al
deposito della teste' citata sentenza della Corte costituzionale,  il
comma 25, dell'art. 24, del d.l. 6/2011, convertito  nella  legge  n.
214/2011, e stato modificato dal d.l. 65/2015, convertito nella legge
n. 109/2015. 
    La nuova formulazione della disposizione in esame prevede che "La
rivalutazione automatica dei trattamenti  pensionistici,  secondo  il
meccanismo stabilito dall'art. 34, comma 1, della legge  23  dicembre
1998, n. 448, relativa agli anni 2012 e 2013, e riconosciuta: 
      a)  nella  misura  del  100  per  cento   per   i   trattamenti
pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il  trattamento
minimo INPS. Per le pensioni di importo  superiore  a  tre  volte  il
trattamento minimo INPS e inferiore a tale limite incrementato  della
quota di rivalutazione automatica  spettante  sulla  base  di  quanto
previsto  dalla  presente  lettera,  l'aumento  di  rivalutazione   e
comunque  attribuito  fino  a   concorrenza   del   predetto   limite
maggiorato; 
      b)  nella  misura  del  40  per   cento   per   i   trattamenti
pensionistici complessivamente superiori a tre volte  il  trattamento
minimo INPS e pari o inferiori a quattro volte il trattamento  minimo
INPS  con  riferimento  all'importo   complessivo   dei   trattamenti
medesimi. Per le pensioni di importo superiore  a  quattro  volte  il
predetto trattamento minimo e inferiore a  tale  limite  incrementato
della quota di  rivalutazione  automatica  spettante  sulla  base  di
quanto previsto dalla presente lettera, l'aumento di rivalutazione e'
comunque attribuito a concorrenza del predetto limite maggiorato; 
      c) nella misura del 20 per cento per trattamenti  pensionistici
complessivamente superiori a quattro volte il trattamento minimo INPS
e pari o inferiori a cinque volte  il  trattamento  minimo  INPS  con
riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi. Per  le
pensioni di imposto superiore a cinque volte il predetto  trattamento
minimo  e  inferiore  a  tale  limite  incrementato  della  quota  di
rivalutazione automatica spettante  sulla  base  di  quanto  previsto
dalla  presente  lettera,  l'aumento  di  rivalutazione  e'  comunque
attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato; 
      d)  nella  misura  del  10  per   cento   per   i   trattamenti
pensionistici  complessivamente   superiori   a   cinque   volte   il
trattamento minimo INPS e pari o inferiori a sei volte il trattamento
minimo  INPS  riferimento  all'importo  complessivo  dei  trattamenti
medesimi. Per le  pensioni  di  importo  superiore  a  sei  volte  il
predetto trattamento minimo e inferiore a  tale  limite  incrementato
della quota di  rivalutazione  automatica  spettante  sulla  base  di
quanto previsto dalla presente lettera, l'aumento di rivalutazione  e
comunque  attribuito  fino  a   concorrenza   del   predetto   limite
maggiorato; 
      e)  non  e  riconosciuta  per   i   trattamenti   pensionistici
complessivamente superiori a sei volte il trattamento minimo INPS con
riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi.". 
    Orbene,  anche  alla  luce  del  recente   intervento   normativo
disposizione in questione suscita perplessita' sotto il profilo della
sua compatibilita' con la Carta Costituzionale. 
    Infatti, sembra che il legislatore  non  abbia  tenuto  conto  di
quanto statuito dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 70  del
2015. 
    Specificamente, anche in seguito all'introduzione delle modifiche
normative apportate dal  d.l.  65/2015,  convertito  nella  legge  n.
109/2015, non appare per il periodo di riferimento  affatto  tutelato
l'interesse dei pensionati alla conservazione del potere di  acquisto
delle somme percepite  (da  cui  deriva  in  modo  consequenziale  il
diritto ad una prestazione  previdenziale  adeguata),  in  particolar
modo di quelli titolari di trattamenti previdenziali modesti, che - a
differenza delle pensioni di importo elevato - non presentano margini
di resistenza all'erosione determinata dal fenomeno inflattivo. 
    Peraltro, il provvedimento legislativo censurato  si  differenzia
dalla legislazione ad esso immediatamente precedente. 
    L'art. 1, comma 483, lettera e), della legge  di  stabilita'  per
l'anno  2014  (legge  n.  147/2013)  ha  previsto,  per  il  triennio
2014/2016, una rimodulazione nell'applicazione della  percentuale  di
perequazione automatica sul complesso dei trattamenti  pensionistici,
secondo il meccanismo di cui all'art. 34, comma 1, della legge n. 448
del 1998, con l'azzeramento per le sole fasce di importo superiore  a
sei volte il trattamento minimo INPS e per il  solo  anno  2014.  Nel
triennio in oggetto la perequazione si applica nella misura  del  100
per cento per i trattamenti pensionistici di importo fino a tre volte
il trattamento minimo; del 95 per cento per i trattamenti di  importo
superiore a tre volte il trattamento minimo  e  pari  o  inferiori  a
quattro  volte  il  trattamento  minimo;  del  75  per  cento  per  i
trattamenti oltre quattro volte e pari o inferiori a cinque volte  il
trattamento minimo; del 50 per cento per i trattamenti  oltre  cinque
volte e pari o inferiori a sei  volte  il  trattamento  minimo  INPS.
Anche la misura della perequazione stabilita dall'art. 1, comma  483,
lettera e), della legge di  stabilita'  per  l'anno  2014  (legge  n.
147/2013) e' quindi notevolmente maggiore (e maggiormente  rispettosa
del dettarne costituzionale) rispetto  a  quella  prevista  dal  d.l.
65/2015, convertito nella legge n. 109/2015, modificatrice del  comma
25, dell'art. 24, del d.l. n. 201/2011, convertito con  modificazioni
in legge n. 214/2011. 
    A titolo di esempio e con riferimento precipuo al caso di specie,
al ricorrente, titolare di pensione INPS eccedente quattro  volte  il
trattamento minimo INPS ed inferiore a cinque  volte  il  trattamento
minimo INPS, e stata riconosciuta la rivalutazione nella  misura  del
20 per cento dal d.l. 65/2015, convertito nella  legge  n.  109/2015,
modificatrice del comma 25,  dell'art.  24,  del  d.l.  n.  201/2011,
convertito con modificazioni in legge n. 214/2011  a  fronte  di  una
rivalutazione nella misura del 75 per  cento  prevista  dall'art.  1,
comma 483, lettera e), della legge di stabilita' per  l'anno  2014  -
legge n. 147/2013 (v. piu' dettagliatamente infra). 
    A tutto cio' si aggiunga che il blocco  parziale  (rectius  quasi
totale) della perequazione automatica produce i suoi effetti in  modo
permanente, non essendo prevista alcuna forma di recupero della parte
non corrisposta negli anni successivi. 
    Inoltre non e' peregrino sottolineare che ogni eventuale  perdita
del potere di acquisto del trattamento, anche se limitata  a  periodi
brevi, e', per sua natura, definitiva,  con  la  conseguenza  che  le
successive rivalutazioni  saranno  calcolate  non  sul  valore  reale
originario, bensi' sull'ultimo  importo  nominale,  che  dal  mancato
adeguamento e' gia' stato intaccato. 
    Osservazioni  piu'   specifiche,   poi,   possono   proporsi   in
riferimento alla violazione degli artt. 3, 36, comma 1, 38, comma  2,
della  Costituzione,  in  quanto  una  perequazione  siffatta  sembra
violare i principi di uguaglianza, ragionevolezza e  proporzionalita'
della prestazione previdenziale e di  conservazione  del  trattamento
pensionistico. 
    In particolare, si assumono violati: 
      a) il principio di cui all'art. 38, comma 2, Cost., perche'  la
modesta entita' della rivalutazione impedisce  la  conservazione  nel
tempo  del  valore   della   pensione,   menomandone   l'adeguatezza,
soprattutto con riferimento ai  pensionati  titolari  di  trattamenti
previdenziali non elevati; 
      b) Il principio di cui all'art. 36, comma 1, Cost., poiche'  la
modesta  entita'  della   rivalutazione   viola   il   principio   di
proporzionalita' tra pensione (che costituisce  il  prolungamento  in
pensione  della  retribuzione  goduta  in  costanza  di   lavoro)   e
retribuzione goduta durante l'attivita' lavorativa; 
      c) Il principio derivante dal combinato  disposto  degli  artt.
36, 38, 3 Cost., perche'  la  modesta  entita'  della  rivalutazione,
violando il principio di proporzionalita' tra pensione e retribuzione
e quello  adeguatezza  della  prestazione  previdenziale,  altera  il
principio di eguaglianza e ragionevolezza, causando  una  irrazionale
discriminazione in danno della categoria pensionati,  cui  appartiene
il ricorrente. 
    Sotto   il   profilo   della   rilevanza   della   questione   di
costituzionalita'  nel  presente  giudizio,  va  evidenziato  che  la
pensione percepita dal ricorrente per gli anni 2012 e 2013  ammontava
ad  euro  2.052,71  lordi  mensili  (all.  nn.  2  e  3  del  ricorso
introduttivo del giudizio), mentre per l'anno 2011 il  ricorrente  ha
percepito l'importo mensile lordo di euro 2.048,80  (all.  n.  4  del
ricorso introduttivo del giudizio). 
    Il ricorrente, pertanto, e' titolare di pensione  INPS  eccedente
quattro volte il trattamento minimo INPS (pari ad euro 480,53 per  il
2012 e ad euro 481,00 per il 2013) ed inferiore  a  cinque  volte  il
trattamento minimo INPS. Da cio' discende che - in virtu' della nuova
formulazione del comma  25,  dell'art.  24,  del  d.l.  n.  201/2011,
convertito  con  modificazioni  in  legge  n.  214/2011,  cosi'  come
modificato dal d.l. 65/2015, convertito nella legge n. 109/2015 -  al
ricorrente e' stato riconosciuto da parte  dell'INPS  appena  il  20%
della rivalutazione spettante sul proprio trattamento pensionistico. 
    La suddetta rivalutazione  e'  di  entita'  talmente  modesta  da
indurre a ritenere che anche la nuova normativa mantenga un contrasto
con i principi dettati dalla Costituzione e con l'interpretazione che
degli stessi ha fornito la Corte  costituzionale  nelle  sentenze  ut
supra citate.